tecnica & approfondimenti

Una volta chiarito il concetto di piano di fuoco e il suo rapporto con la profondità di campo, possiamo ora iniziare a parlare di come la macchina fotografica effettua l’operazione di messa a fuoco automatica (autofocus). Partiamo proprio dall'inizio: la scelta di cosa mettere a fuoco. Questa operazione può essere lasciata alla macchina fotografica oppure presa in carico da chi sta scattando la fotografia. Se lasciate decidere alla fotocamera essa agirà scegliendo autonomamente una certa zona del fotogramma che avrà l'onore di essere a fuoco.

Questa scelta avviene tramite logiche non sempre note, ma ad esempio molte fotocamere oggi sono in grado di riconoscere i volti e dargli priorità quando si tratta di scegliere il punto di fuoco (questa operazione è anche chiamata aggancio del fuoco). Scegliere manualmente il punto di messa a fuoco sicuramente offre un maggiore controllo sul risultato finale oltre che una maggiore consapevolezza riguardo a cosa si sta facendo. Ci sono due modalità per selezionare il punto di fuoco: o attraverso il mirino oppure attraverso lo schermo della fotocamera. Nel primo caso si possono selezionare solo un numero ristretto di punti predefiniti (generalmente la scelta si effettua ruotando una ghiera o premendo dei pulsanti), nel secondo caso invece il punto di fuoco può essere selezionato con maggiore libertà ponendolo in una zona qualsiasi del fotogramma. Se ad esempio vogliamo mettere a fuoco su un volto posto in alto a destra, selezioneremo il punto in alto a destra nel mirino oppure se utilizziamo lo schermo, sposteremo il punto di fuoco fino a sovrapporlo al volto che vogliamo a fuoco.

Grafico del meccanismo della messa a fuoco tramite rilevamento del contrastoOra che in maniera automatica o manuale abbiamo scelto cosa mettere a fuoco, dobbiamo chiedere alla fotocamera di passare all'azione ossia di mettere a fuoco il soggetto che abbiamo scelto (premendo il pulsante di scatto a metà corsa o il pulsante dedicato di messa a fuoco). Per mettere a fuoco i soggetti le macchine fotografiche attuali operano sulla base di due principi (si può scegliere di utilizzare uno o l'altro, quando disponibili): il rilevamento di fase e la misurazione del contrasto. Iniziamo ad analizzare il metodo più diffuso: quello della misurazione del contrasto. Questo sistema lo troviamo nelle fotocamere di ogni fascia, gli smartphone e qualsiasi dispositivo in grado di acquisire immagini e di mettere a fuoco. La diffusione di questa tecnologia è dovuta al fatto che è di semplice implementazione dato che non necessita di sensori aggiuntivi oltre a quello già ovviamente presente per l’acquisizione dell’immagine. In questa modalità di messa a fuoco il sensore fotografico analizza la porzione d’immagine da mettere a fuoco e ne misura il contrasto, poi sposta il piano di fuoco leggermente più avanti o indietro e rieffettua la misurazione. La procedura continua fino a quando viene rilevato il valore di contrasto più alto possibile (soprattutto ai bordi degli oggetti, clicca QUI per un'animazione interattiva*). Come detto, questo metodo di messa a fuoco ha il vantaggio di essere semplice da implementare nei dispositivi, ma ha due limiti: il primo è la lentezza dell’operazione di focheggiatura (probabilmente vi sarete già trovati nella situazione di sentire il motore dell'obiettivo ronzare facendo ruotare la ghiera della messa a fuoco avanti e indietro per alcuni secondi), l'altro è l’impossibilità di essere utilizzato in situazioni di basso contrasto. La lentezza dipende dal fatto che la ricerca del massimo contrasto avviene “per tentativi”, metodo sicuramente inefficace dal punto di vista della velocità. Il secondo problema è quello del difficile utilizzo in scene a basso contrasto. Come accennato infatti, questo metodo si basa sulla ricerca del massimo valore di contrasto, ma se questo manca già nel soggetto stesso (ad esempio in una superficie uniforme) l’operazione di messa a fuoco è destinata a non avere successo (in questa situazione la fotocamera continua a variare il piano di fuoco avanti e indietro senza fermarsi). Nelle fotocamere reflex utilizziamo la messa a fuoco tramite rilevamento di contrasto tutte le volte che mettiamo a fuoco tramite lo schermo posteriore (detto liveview), ossia quando attiviamo la messa a fuoco automatica ma scegliamo lo schermo posto sul retro della fotocamera per selezionare il punto di fuoco.

Schema del funzionamento della messa a fuoco tramite rilevamento di fasePer ovviare a questi problemi, nelle fotocamere reflex oltre alla messa a fuoco tramite la misurazione del contrasto è presente il sistema di rilevamento della fase (sistema che utilizziamo quando focheggiamo selezionando in punto di fuoco attraverso il mirino). Questo sistema richiede dell’hardware aggiuntivo da inserire nel corpo macchine fotografiche, ma assicura risultati migliori. La fotocamera non mette a fuoco basandosi sui dati del sensore fotografico, ma sfruttando una serie di coppie di piccoli sensori aggiuntivi e dedicati solo a questo scopo. Mi spiego: la luce proveniente dall’obiettivo viene deviata da uno specchio verso le coppie di sensori che abbiamo appena citato. Per ognuno dei punti di messa disponibili nel mirino a fuoco esiste una coppia di sensori. A ciascuno dei due sensori della coppia la luce arriva dopo un percorso leggermente diverso. La fotocamera stabilisce il piano di fuoco valutando la differenza tra i dati dei due sensori (clicca QUI per un'animazione interattiva*). Il grosso vantaggio di questo metodo è che la fotocamera non deve procedere a tentativi, ma confrontando i dati dei due sensori può stabilire a priori se deve avvicinare o allontanare il piano di fuoco. Se il metodo di misurazione del contrasto (qullo di cui abbiamo aprlato prima) permette di mettere a fuoco in un punto qualsiasi del fotogramma, quello a rilevazione di fase permette la messa a fuoco solo in zone ben precise corrispondenti alla posizione delle coppie di sensori. Questi sensori, tra l’altro, possono essere di due tipologie: lineari o a croce. Quelli lineari sono quelli che abbiamo appena descritto con i due sensori lavorano in coppia confrontando i dati che rilevano. Quelli a croce invece lavorano tramite un set di due coppie, quindi analizzano la luce in maniera più approfondita, confrontando la luce non solo sul piano orizzontale a in quello verticale (da qui deriva il nome “croce”). In questo modo riescono ad agganciare il fuoco anche nelle situazioni più difficili. Semplificando il discorso al massimo: maggiore sarà il numero di punti di messa a fuoco, maggiore sarà il numero di coppie di sensori dedicate alla focheggiatura. Partendo dai modelli di fotocamere più semplici che hanno meno di una decina di punti di messa a fuoco, si arriva a fotocamere professionali con alcune decine di punti.

I motori degli obiettivi, motore ad anello, micromotoreIn conclusione, due parole veloci su come vengono effettivamente messe in movimento le lenti all'interno dell'obiettivo al momento della messa a fuoco. Si tratta ovviamente i motori che, pilotati dai sensori di messa a fuoco, movimentano varie lenti per completare l'operazione. Partiamo dalla classificazione più generale: motori integrati nel corpo macchina e motori nell'obiettivo. I motori nel corpo della fotocamera permettono di risparmiare qualcosa al momento dell'acquisto di nuovi obiettivi dato che saranno acquistabili quelli senza motore interno, ma non è tutto oro quello che luccica. I motori interni infatti sono generalmente meno performanti in termini di velocità rispetto a quelli integrati degli obiettivi, inoltre tendono ad essere leggermente più rumorosi. I motori interni all'obiettivo infatti sono ottimizzati per lo schema ottico di quel preciso obiettivo, mentre il motore della fotocamera deve puntare ad essere il più possibile compatibile con ogni ottica (basti pensare che un teleobiettivo necessita il movimento di più lenti e per un tragitto più lungo rispetto ad un grandangolo). Parlando di motori interni entriamo in una selva di sigle e di approcci diversi a seconda delle aziende produttrici, ma anche in questo caso possiamo fare delle generalizzazioni: obiettivi con motori elettrici tradizionali e motori ad ultrasuoni. I motori tradizionali sono più ottimizzati rispetto a quelli interni alle macchine fotografiche ma comunque non brillano per velocità e silenziosità. Diverso è il discorso per i motori ad ultrasuoni: sono implementati in vari modi diversi a seconda dei modelli e delle marche degli obiettivi, ma in linea generale sono riconducibili alla famiglia dei micromotori e dei motori ad anello. I micromotori ad ultrasuoni condividono i sistemi di trasmissione meccanici dei motori elettrici ma tendono ad essere leggermente più veloci e più silenziosi, mentre i motori ad anello sono quelli che offrono le migliori prestazioni quasi in assoluto silenzio. Obiettivi con questa tipologia di motori (non so se è marketing o realtà) sono in grado di mettere a fuoco in maniera persino più veloce rispetto all'occhio umano, impressionante vero?

 

*le animazioni richiedono il supporto flash e sono tratte da http://graphics.stanford.edu/
 

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