Questa fotografia, in realtà, l'ho realizzata con il solo scopo di crearmi un pretesto per poter scrivere queste due righe su quanto accaduto ieri, nell'ormai tristemente noto naufragio di una delle innumerevoli "carrette del mare" nel canale di Sicilia. Credo che questo evento abbia toccato così tanto l'animo degli italiani perché, in realtà, tutti abbiamo scritto in qualcuno dei nostri geni un qualcosa riguardante la migrazione.
Praticamente chiunque, tornando indietro di una o al massimo due generazioni, ha un parente che è emigrato all'estero.
Ma non solo: noi Italiani siamo "strani"... Proviamo a pensare alla nostra esperienza: spesso tendiamo a considerare "straniero" chiunque sia più all'esterno di un raggio di 15Km da casa nostra. Ok, forse non saranno proprio 15Km, ma una sorta di forte campanilismo innato ci porta a dare una definizione di "straniero" molto ampia, e questo, come retro della medaglia, ci porta ad entrare nella parte degli "stranieri" molto di frequente. A questo aggiungiamo che le attuali condizioni economiche ci ricordano che l'ombra dell'emigrazione non è poi così lontana dai nostri orizzonti. Ultimamente, guardandosi in giro, non si sente parlare solo dei "cervelli in fuga", quei "giovani-geni" che lasciano l'Italia per andare a conquistare il mondo e che ogni tanto ricordano ancora come si parla l'italiano, ma purtroppo, solo per dire che in Italia mille cose funzionano male. Oltre alla loro, è sempre più diffusa anche la partenza di persone di tutte un po' tutte le età e con tutti i gradi di istruzione, gente che non va a conquistare il mondo, ma gente che va solo a provare a conquistarsi una vita dignitosa, che spesso qui è difficile da trovare. Ecco quindi che, in fondo in fondo, barconi a parte, ci rendiamo conto che in una situazione di migrazione come quella che ha generato questo disastro, potremmo trovarci anche noi, o i nostri cari.
Facciamo in modo che queste riflessioni non muoiano entro qualche giorno quando passerà il coinvolgimento emotivo e le televisioni torneranno a parlare solo di gossip e politica, pensiamo a tutto questo anche la prossima volta che verremo a contatto con la questione dell'immigrazione: tra un anno quando probabilmente non ci ricorderemo nemmeno più quanto successo ieri, o la prossima estate, quando sulla spiaggia ci sentiremo infastiditi dal venditore ambulante che vuole rifilarci un braccialetto, oppure tutte le volte che ci ritroveremo ad associare i concetti di immigrazione e criminalità e in mille altre occasioni nelle quali ci scopriremo troppo superficiali di fronte a chi ha lasciato il proprio paese in cerca di una vita migliore. E per favore... Almeno per oggi smettiamola con le polemiche sterili, con i ragionamenti di chi dice "ma quando muoiono gli italiani non ne parla nessuno", ragionamenti che, benché a volte abbiano un fondo di verità, in queste situazioni evidenziano solo una mancanza di sensibilità e un'ottusità di cui si fa volentieri a meno.
A chiusura di questo breve post, allego una poesia (che, in un certo senso, ha "ispirato" l'immagine in alto) pubblicata nel 1986 dalla Anti-Defamation League per il progetto "A World of Difference". E' stata scritta nel 1984 durante gli anni del liceo da Noy Chou, una ragazza Cambogiana trasferita a Boston. Tramite questi versi Noy ha provato a mostrare agli altri le sue difficoltà di giovane immigrata, con la speranza che provassero ad essere più aperti nei confronti degli altri, a prescindere dalle razze, dalla cultura o dalla religione.
Sai cosa significa essere un' estranea?
Sai come ci si sente in una classe dove tutti sono biondi e tu invece hai i capelli neri?
Sai cosa vuol dire quando l'insegnante chiede “Chi non è nato qui, alzi la mano!” e tu sei l'unica a farlo?
E poi, quando l'hai alzata, vedi che gli altri ti guardano e ridono?
Devi vivere in un paese che non è il tuo, per capirlo.
Sai cosa significa quando l'insegnante ti tratta come se anche tu fossi stata lì per tutta la tua vita?
Quando parla così veloce che non riesci a capire niente e gli chiedi per favore di andare più piano?
E quando lo chiedi, gli altri ti dicono “Se non riesci a capire, è meglio per te se provi in una classe più bassa”.
Devi vivere in un paese che non è il tuo, per capirlo.
Sai cosa significa stare dall'altra parte?
Quando indossi gli abiti che portavi nel tuo paese e tu li trovi carini, mentre gli altri pensano che tu sia pazza?
Devi vivere in un paese che non è il tuo, per capirlo.
Cosa significa essere una sfigata.
Cosa vuol dire quando qualcuno di da' noia, senza che tu gli abbia fatto niente?
Quando gli dici di smetterla e lui risponde che non ti ha fatto niente.
E poi, visto che non la smette, ti alzi e lo dici all'insegnante.
E lui nega.
E l'insegnante domanda al tuo vicino di banco.
E lui risponde “E' vero, non gli stava facendo niente”.
Così ti prendono per bugiarda anche i professori.
Devi vivere in un paese che non è il tuo, per capirlo.
Sai com'è quando provi a parlare e non pronunci bene le parole?
Quando dicono di non capirti.
E ti ridono dietro, ma siccome non capisci, ti metti a ridere con loro.
E allora ti chiedono “Ma sei scema a prenderti per i fondelli da sola?”
Devi vivere in un paese che non è il tuo, per capirlo.
Sai cosa significa camminare per strada e avere gli occhi di tutti puntati addosso, solo che non te ne accorgi?
E quando lo capisci provi a nasconderti, ma non sai dove perché gli altri sono dappertutto?
Devi vivere in un paese che non è il tuo per capirlo.